Lo Tzunami del progetto
Un Albergo in un edificio banale posto in una posizione d’eccezione è oggetto di un caleidoscopio intervento progettuale in progress improntato a un saper fare creativo e artigianale.
La sponda veronese del lago di Garda, lassù in cima dove sconfina nella sua propaggine sommitale e trentina, offre uno degli scorci più belli sul paesaggio lacustre. È inevitabile ricordare l’incanto che rapì nel 1786 l’antesignano di tutti i futuri viaggiatori in Italia, Johann Wolfgang Goethe, di fronte al castello scaligero di Malcesine che vediamo non lontano dalla incantevole spiaggetta a nord dell’abitato, punto di ritrovo per una nuotata tonificante in una bella giornata non ancora assediata dal pienone turistico.
Lo sguardo è distratto, il lago è una calamita e quello che sta attorno allo specchio d’acqua passa
in secondo piano. Un costone roccioso sostiene la strada Gardesana a una quota ben superiore rispetto a quella della spiaggia, che rimane così protetta e intima: chissà come doveva essere qui un tempo, tra gli anni Sessanta e Settanta, quando una indimenticata zia sfrecciata con la sua Fiat 127 bianca lungo tutta la costa, da Peschiera a Torbole, godendo della incantevole view from the road. Dev’essere stato costruito più o meno in quel periodo l’edificio incastrato tra la strada e la spiaggia, addossato alla parete rocciosa da una parte e affacciato sul lago dall’altra: una curiosa ibridazione tra infrastruttura, architettura e paesaggio che forse non sarebbe
dispiaciuta a un ipotetico Koolhas lacustre.
A poco a poco, l’edificio inizia ad uscire dall’indifferenza balneare e a suscitare curiosità. Cominciamo ad osservarlo, anche se l’occhio non riesce a fermarsi per riconoscere una forma sintetica, ma corre da una parte all’altra catturato da episodi, frammenti ed elementi apparentemente giustapposti in una sorta di ordinata casualità. Ecco, sì: il vecchio edificio è il substrato di una serie di elementi ed interventi che sono inequivocabilmente contemporanei – le grandi aperture vetrate, i nuovi serramenti, le colonne di ferro inclinate, alcuni parapetti di cristallo, i rivestimenti e i divisori in bacchette di legno… Solo nel versante meridionale dell’edificio l’onda del rinnovamento è arrivata solo in parte – è questione di tempo! – e si riconosce, come in un testo a fronte, il prima e il dopo dal passaggio dello tsunami di questo travolgente processo.
Decidiamo così di incontrare il progettista. Mauro Rossaro, trentino, è un architetto e un artigiano allo stesso tempo, capace di tenere le fila del progetto così come di salire su una scala per saldare, a protezione di una canna fumaria, una padella di ferro rubata in cucina. Mauro è un tipo informale e passionale, e comincia a raccontarci il processo creativo di questo lavoro a partire dai suoi condizionamenti.
Il work in progress nasce dalla necessità di lavorare per stralci alla fine di ogni stagione turistica, con grandi affanni in vista della riapertura, operando di anno in anno su singoli parti della struttura ricettiva. Il suo approccio è totalmente conflittuale con la burocrazia (si può dire? prima viene il progetto e l’esecuzione, poi la pratica edilizia…) e profondamente
umano, e ci spiazza con storie di autocostruzione che finiscono con lotte nel fango.
I suoi racconti diventano un fiume di episodi uno più incredibile dell’altro, che ascoltiamo attraversando l’edificio per concludere con un’ottima cena nel ristorante dell’albergo (super consigliato!).
Il medesimo atteggiamento che avevamo riconosciuto dall’esterno ha permeato gli spazi interni: la tipologia della struttura, un ambient hotel, si è rivelata funzionale a questo atteggiamento caleidoscopico, che mantiene nella concitazione degli episodi alcuni fondamentali principi ordinatori. Il lavoro procede innanzitutto per sottrazione dall’esistente, demolendo ciò che va demolito e spesso svelando crudamente le “cicatrici”. La soluzione per il soffitto della palestra? Lasciare a vista le pignatte mezze rotte, romperle ancora un po’ e dipingerle di nero.
L’effetto è sorprendente.
Il colore è l’altro stratagemma low cost per riconfigurare gli spazi. Nel ristorante, ad esempio, pareti e soffitto dipinti di nero e di rosso e un pavimento di resina scura, con alcune licenze poetiche (drip-ping e scarabocchi, soglie segnate da nodose tavole di legno grezzo) annullano la scatola muraria per mettere in risalto lo sguardo sul lago, esaltato dalle grandi vetrate che hanno ridotto al minimo la superficie muraria della parete esterna. Operazione che ha comportato qualche spericolato virtuosismo strutturale, supportato dal calcolo ma soprattuttodall’intuizione (e dalla spavalderia) di Mauro.
Un sistema di illuminazione molto ruspante ma efficace, fatto di lampadinette e fili sospesi, è funzionale a creare la giusta atmosfera di intimità per gli avventori; gli impianti sono a vista (se servono, perché nasconderli?), e ogni elemento di arredo è l’occasione di un nuovo esercizio per l’architettoartigiano. Negli spazi comuni così come nelle camere, tutte diverse e studiate ad hoc – l’opposto della consueta serialità alberghiera – il repertorio dei materiali affianca i legni grezzi nobilitati dal colore o il medium density semplicemente verniciato alla esattezza millimetrica delle lamiere tagliate al laser, piegate e assemblate per comporre piani, tavoli, banconi, appoggi, sostegni.
La passione metallara di Mauro è predominante anche nella sistemazione degli spazi esterni. Tra l’hotel e il bar-pizzeria – un annesso anni Ottanta a un piano fuori terra con tanto di piscina baywatch in copertura – l’accesso dalla passeggiata a lago è regolato da una rampa contenuta da una sequenza di vasche piantumate con bambù, prismi irregolari in lamiera corten realizzati in officina e posti in opera con apparente naturalità. Un mondo di forme taglienti e arrugginite, tra parapetti svisati, corrimano a zigzag e cordoli sussultori che sembra rappresentare un omaggio a un architetto molto amato come Enric Miralles. Malcesine non è certo Barcellona, eppure c’è molta ironia dissacrante – delle forme e delle consuetudini – anche nell’atteggiamento progettuale di Mauro: che dev’essersidivertito un sacco nel realizzare con delle semplici reti elettrosaldate piegate il parapetto della copertura-parcheggio, un retaggio dell’edificio originale che, sia pur lontano dal mitico toit-jardin, sorprende per il rovesciamento della gerarchia di accesso all’edificio, con l’ingresso principale dall’alto.Già da qui, dal piano di copertura costellato di elementi tecnici, antenne, camini e insegne – argomento che meriterebbe un approfondimento a parte per la passionelicenziosa dedicata a questi oggetti dal Nostro – riusciamo a cogliere solo una campionatura delle “invenzioni” che sarebbe difficile descrivere: un lavoro tuttora in continuo divenire, grazie anche ad una committenza illuminata e fiduciosa. Un approccio che ha un fascino selvaggio e creativo, quello che Mauro ci comunica con grande passione, che va dalle forme ai materiali alle persone che lavorano, spesso legate da storie di amicizia e solidarietà tipiche delle piccole comunità.
Seguite il calendario: una sosta all’hotel Primaluna è d’obbligo per chi si trova in zona, e se trovate Mauro, offritegli una birra, ve ne offrirà altre tre.
FONTE: Rivista Trimestrale Architetti Verona 2019#01